Kazakhstan, la pena di morte abolita anche grazie al dialogo con l'italia
Con una tempistica tale da fare iniziare almeno con una buona notizia un anno che si preannuncia difficile, il 2 gennaio il Kazakhstan ha formalmente abolito la pena di morte. Lo ha fatto attraverso la firma del Capo dello Stato Kassym-Jomart Tokayev alla legge di ratifica del Secondo Protocollo opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, che obbliga gli Stati parte all’abolizione e che il Kazakhstan aveva firmato all’Onu nel settembre scorso. Vi resta in vigore (come era stato per molti anni anche per l’Italia) soltanto una teorica applicazione della pena di morte in tempo di guerra, per crimini estremamente gravi di natura militare.
Non tutti sanno che nell’incoraggiare, attraverso il dialogo, il più grande Paese dell’Asia centrale a lasciarsi definitivamente alle spalle quel retaggio dell’epoca sovietica – pur mentre non pochi altri ne permangono – ha avuto un ruolo di primo piano l’Italia, sia con le sue istituzioni che attraverso organizzazioni non governative. Già nel 2003 ebbi l’onore di partecipare a una missione in Kazakhstan di "Nessuno tocchi Caino", sostenuta dal governo italiano, per promuovere la conferma della moratoria delle esecuzioni che era stata da poco adottata e il voto favorevole di quello Stato alla Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu per una moratoria universale.
L’anno dopo fu introdotto nel codice penale del Kazakhstan, come alternativa alla pena capitale, l’ergastolo. Nel 2006 tenemmo ad Almaty un seminario dal titolo “Il Kazakhstan dalla moratoria all’abolizione della pena di morte”, con il contributo della Commissione dell’Unione Europea e della rappresentanza tedesca nel Paese, tenendo anche diversi incontri ad alto livello in proposito; intanto anche la Comunità di Sant'Egidio si attivava nel dialogo con l’obiettivo dell’abolizione. L’anno dopo, ancora ad Almaty riuscimmo ad organizzare una tavola rotonda molto partecipata fra Ong locali e internazionali e autorità governative sul tema, coinvolgendo il presidente della Commissione presidenziale per i diritti umani, un membro del Consiglio Costituzionale, i ministeri degli Esteri e della Giustizia, la competente Commissione parlamentare e con un intervento dell’ambasciatore d’Italia in Kazakhstan, Bruno Antonio Pasquino (oggi ambasciatore in Iraq).
Il dialogo su questo è poi sempre proseguito negli anni. L’Italia ha anche raccomandato al Kazakhstan di mantenere la moratoria sulle esecuzioni e di valutare la possibilità dell’abolizione nell’ambito del processo di revisione periodica universale al Consiglio per Diritti Umani delle Nazioni Unite – organo sempre più indebolito dalla presenza di Stati a regime autoritario, ma che ancora può offrire alcune occasioni di evoluzione per il rispetto dei principi fondamentali del Diritto internazionale.
Fra gli organismi più attivi nel proporre l’abolizione è anche il Consiglio d’Europa, al quale il Kazakhstan ha chiesto da anni uno status di osservatore per il quale sarebbero però necessari molti altri passi avanti nel campo dei diritti civili e politici. Su questo il Kazakhstan è inoltre teoricamente impegnato dall'Accordo di partenariato rafforzato con l’Unione Europea, che in due articoli fa riferimento allo Stato di diritto e al rispetto dei diritti umani; ma non sembra che i progressi siano rilevanti, mentre anzi negli ultimi due anni la repressione politica è sembrata piuttosto intensificarsi.
Sono infatti numerose, come la Fidu ha documentato in diversi rapporti, le segnalazioni di casi di tortura nelle carceri, di persecuzioni per motivi politici, di divieti arbitrari di manifestazioni pubbliche, di limitazioni ingiustificabili alla libertà di associazione e di espressione; cosa della quale – accanto a valutazioni positive – ha espresso consapevolezza in dicembre il viceministro degli Esteri Marina Sereni rispondendo a un’interrogazione parlamentare di Emma Bonino.
Rimane dunque la necessità di proseguire in un dialogo costruttivo, ma chiedendo al Kazakhstan atti concreti. Una prima occasione sarebbe il 10 gennaio, con le elezioni – purtroppo ancora molto guidate dall’alto – per il Majilis (la Camera bassa del Parlamento), che pure non ha molti poteri. Le seguiremo, avendo ben presente anche quanto accaduto e continua ad accadere in Bielorussia. Trent’anni dopo l’ottenimento dell’indipendenza, il Paese che infine (a differenza della Bielorussia stessa) si è emancipato dalla pena di morte dovrebbe ormai essere maturo anche per vivere una democrazia effettiva, superando la lunga fase della costruzione di strutture formali.
* L'autore è il Presidente della Federazione Italiana Diritti Umani
Fonte: la Repubblica
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