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Anne Frank e altre

Anne Frank

Annelies Marie Frank, detta Anne, chiamata Anna Frank in italiano, (Francoforte sul Meno12 giugno 1929 – Bergen-Belsen, febbraio o marzo 1945), è stata una giovane ebrea tedesca, divenuta un simbolo della Shoah per il suo diario, scritto nel periodo in cui lei e la sua famiglia si nascondevano dai nazisti, e per la sua tragica morte nel campo di concentramento di Bergen-Belsen.

Visse parte della sua vita ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, dove la famiglia si era rifugiata dopo l'ascesa al potere dei nazisti in Germania. Fu privata della cittadinanza tedesca nel 1935, divenendo così apolide e nel proprio diario scrisse che ormai si sentiva olandese e che dopo la guerra avrebbe voluto ottenere la cittadinanza dei Paesi Bassi, Paese nel quale era cresciuta.

 

Anna nacque il 12 giugno 1929, come seconda figlia di Otto Heinrich Frank (12 maggio 1889 - 19 agosto 1980) e di sua moglie Edith Frank, nata Holländer (16 gennaio 1900 - 6 gennaio 1945), nella clinica dell'Associazione delle donne patriottiche nel parco Eschenheim, a Francoforte: questa clinica venne distrutta durante la Seconda guerra mondiale. Aveva una sorella maggiore, Margot Betti Frank (16 febbraio 1926 - febbraio 1945).

Fino all'età di due anni Anna visse nell'edificio in Marbachweg n. 307 e in seguito si trasferì nella Ganghoferstraße n. 24 (entrambe nel quartiere Dornbusch). La famiglia Frank viveva in una comunità mista e i figli crebbero insieme con bambini di fede cattolicaprotestante ed ebraica. I Frank erano ebrei riformati: molte tradizioni ebraiche erano conservate, ma solo alcune venivano praticate. Edith era la più credente, mentre Otto, che aveva prestato servizio come ufficiale per l'esercito tedesco durante la Prima guerra mondiale, lavorava come imprenditore e si occupava principalmente dell'educazione delle sue figlie, che stimolava alla lettura grazie anche alla ricca biblioteca privata che possedeva. Anna dovette sempre confrontarsi con i paragoni con la sorella maggiore Margot: questa era buona, esemplare e timida, mentre Anna era molto più vivace, piena di interessi, ma anche estroversa e impulsiva e si sentiva costantemente trattata peggio della sorella.

Prima che l'avvento del nazionalsocialismo irrompesse e distruggesse la sua vita, Anna viveva tranquillamente con la sua famiglia e con i suoi amici a Francoforte. Poteva anche recare visita alla nonna Alice Frank, la madre di Otto, a Basilea. Nel 1931 questa si era trasferita con la figlia Helene detta "Leni" (zia di Anna e sorella di Otto) e i figli di lei Stephan e Bernhard (divenuto poi famoso come attore con lo pseudonimo di Buddy Elias) a Basilea, dove suo marito nel 1929 aveva aperto la rappresentanza svizzera della Opekta, una ditta producente pectina per la realizzazione di marmellate. Anna Frank viene descritta dal cugino Bernhard come una "bambina vivace, che non faceva altro che ridere".

Subito dopo che la NSDAP ebbe ottenuto la maggioranza alle elezioni comunali di Francoforte del 13 marzo 1933 – poche settimane dopo l'ascesa al potere di Hitler – cominciarono a esserci delle dimostrazioni antisemite. Otto Frank cominciò a temere per il futuro della sua famiglia e insieme alla moglie cominciò a pensare che cosa sarebbe potuto succedere se fossero rimasti in Germania. Più tardi, nello stesso anno, Edith si trasferì con le figlie ad Aquisgrana da sua madre Rosa Holländer. Otto inizialmente rimase a Francoforte, in seguito ricevette l'offerta da Robert Feix di andare ad aprire una filiale dell'Opekta ad Amsterdam[8]. Si trasferì nei Paesi Bassi per organizzare i suoi affari e per preparare l'arrivo del resto della sua famiglia. Nel frattempo, con la legge sulla cittadinanza, la famiglia Frank perse la cittadinanza tedesca.

 

L'esilio ad Amsterdam

Edith e la figlia maggiore raggiunsero Otto nel dicembre del 1933, Anna nel febbraio 1934 e andarono a vivere in un palazzo condominiale in Merwedeplein n. 37, nel nuovo quartiere di Rivierenbuurt in quella che al tempo era la periferia meridionale della città, dove molte famiglie tedesche di origini ebraiche avevano cercato una nuova patria. Anche in esilio i genitori si occuparono dell'educazione delle due figlie: Margot frequentò una scuola pubblica, mentre Anna venne iscritta alla scuola pubblica montessoriana nº 6 nella vicina Niersstraat. Mentre Margot eccelleva soprattutto in matematica, Anna si mostrava portata nel leggere e nello scrivere. Tra le amiche più intime di Anna dopo il 1934 si annoverano Hanneli Goslar e Sanne Ledermann.

Goslar più tardi raccontò che spesso Anna scriveva di nascosto e non rivelava a nessuno quello che scriveva. Questi primi appunti sono andati persi, ma "Hanneli", come veniva chiamata da Anna, è oggi un'importante testimone le cui memorie sono state raccolte in un libro nel 1998 da Alison Leslie Gold. Un'altra amica, Jacqueline van Maarsen, raccontò in seguito le esperienze vissute insieme con Anna.

Nel 1935 e nel 1936 Anna poté ancora fare spensierate vacanze con la sua prozia parigina Olga Spitzer in Svizzera a Sils im Engadin, dove strinse amicizia con una ragazza del posto. Solo di recente, su iniziativa privata è stato eretto un monumento in ricordo di Anna dove sorgeva "Villa Spitzer" (oggi "Villa Laret"). Dal 1933 Otto Frank diresse la filiale olandese della ditta (tedesca) Opekta. Nel 1938 Otto avviò una seconda ditta insieme con il macellaio Hermann van Pels - anche lui in fuga con la sua famiglia ebrea da Osnabrück - per la distribuzione di sale da conservazione, erbe e spezie: la Pectacon. Nel frattempo ad Aquisgrana i nazisti espropriarono la banca di suo padre Michael, banca per altro già segnata dalla crisi finanziaria del 1929.

Nel 1939 la madre di Edith raggiunse i Frank ad Amsterdam, dove rimase fino alla sua morte nel gennaio del 1942. Di quanto pochi scrupoli si facessero i nazisti i Frank lo appresero in prima persona dal fratello di Edith, Walter Holländer, che durante la notte dei cristalli era stato arrestato e portato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, per poi ottenere un'autorizzazione speciale che gli consentì di emigrare nei Paesi Bassi. Otto Frank non si fece però distogliere dal suo ottimismo dai racconti delle sinagoghe in fiamme: definì l'accaduto come un "attacco febbrile" che avrebbe poi riportato tutti alla ragione.

La speranza divenne però paura allorquando, con l'attacco alla Polonia nel settembre 1939, scoppiò la Seconda guerra mondiale. Gli ebrei in esilio temevano che anche i Paesi Bassi, che cercavano di mantenere la loro neutralità, venissero minacciati dall'espansionismo di Hitler. E in effetti il 10 maggio 1940 l'Olanda fu attaccata e occupata dalla Wehrmacht tedesca: le forze olandesi capitolarono e la regina Guglielmina volò in esilio a Londra. Presto apparve evidente che per gli ebrei dei Paesi Bassi incombeva lo stesso destino di quelli delle altre zone occupate. Otto e Edith Frank non poterono più tenere nascosti ai figli i problemi politici: fino a questo momento i genitori avevano sempre cercato di fare da scudo alle bambine, cercando di garantire loro un'apparente normalità. Come testimoniano alcune lettere rinvenute nel 2007, Otto Frank aveva più volte cercato di ottenere asilo negli Stati Uniti o a Cuba, anche con l'aiuto dell'amico Nathan Straus, che aveva contatti con la First Lady Eleanor Roosevelt; ma i tentativi furono vani. Nuove leggi antisemite toglievano loro progressivamente i diritti: vennero esclusi dalla vita sociale e da quella pubblica. In particolare, il divieto di andare al cinema colpì molto duramente Anna, che era un'entusiasta cinefila e collezionista di foto di star del cinema. Come tutti gli ebrei, dovette abbandonare la scuola pubblica a favore di uno speciale liceo per sole ragazze ebree. Fu introdotto l'obbligo per tutti gli ebrei di registrarsi in un apposito registro anagrafico (con foto e impronte digitali); in seguito dovettero registrare addirittura le loro biciclette. Quando furono obbligati a portare sui vestiti la stella gialla che contrassegnava gli ebrei, molti olandesi solidarizzarono con loro. Ma d'altro canto nacque anche un partito nazista olandese, il Movimento Nazional-Socialista. Per proteggere le sue aziende dalla confisca che colpiva le imprese gestite da ebrei, Otto Frank cedette la direzione pro forma ai suoi collaboratori arianiJohannes Kleiman e Victor Kugler e l'impresa assunse il nome di Gies & co..

Il 12 giugno 1942, Anna ricevette per il suo tredicesimo compleanno un quadernino a quadretti bianco e rosso, sul quale incomincerà a scrivere (in olandese) il Diario, inizialmente sotto forma di annotazioni a proposito della scuola e degli amici, quindi come immaginaria corrispondenza con le protagoniste di una popolare serie di romanzi per ragazze "Joop ter Heul" della scrittrice olandese Cissy van Marxveldt, di cui lei e le amiche erano accanite lettrici.

 

La clandestinità

Otto Frank aveva preparato un nascondiglio nella casa retrostante (Achterhuis in olandese) l'edificio in cui aveva sede la ditta, in Prinsengracht 263, seguendo un suggerimento del suo collaboratore Kleiman. L'edificio principale, nelle vicinanze della Westerkerk, era discreto, vecchio e tipico di questo quartiere di Amsterdam; l'achterhuis era un edificio a tre piani che si trovava dietro l'edificio principale. Al primo piano c'erano due piccole camere con bagno e toilette; di sopra c'erano una camera grande e una più piccola; infine tramite una scala si arrivava al sottotetto. La porta che conduceva a questo retrocasa di quasi 50 m², che era collegata con una ripida scala all'ingresso degli uffici, venne nascosta da una libreria girevole.

Otto Frank aveva chiesto aiuto alla sua segretaria Miep Gies (nata Hermine Santrouschitz): sebbene lei sapesse di andare incontro a grossi problemi nel caso fossero stati scoperti, accettò di aiutarlo e si assunse la pesante responsabilità. Insieme con suo marito Jan Gies e ai collaboratori di Frank Kugler e Kleiman, nonché Bep Voskuijl, Miep Gies aiutò gli abitanti del retrocasa.

La situazione della famiglia precipitò quando il 5 luglio 1942 Margot ricevette da parte dell'Ufficio Centrale per l'emigrazione ebraica ad Amsterdam un invito a comparire ai fini della successiva deportazione in un campo di lavoro. Se Margot non si fosse presentata spontaneamente, l'intera famiglia Frank sarebbe stata arrestata. Questo episodio spinse Otto Frank a nascondersi con la famiglia prima di quanto avesse previsto. Già il giorno successivo, il 6 luglio, cominciò per l'intera famiglia una vita in clandestinità, dato che una fuga dai Paesi Bassi appariva assolutamente impraticabile. Quando il suo amico Helmut "Hello“ Silberberg andò a trovare Anna a casa sua, non la trovò più. Per sviare i controlli, i Frank avevano lasciato il loro appartamento sottosopra con un biglietto in cui dicevano di essere improvvisamente fuggiti in Svizzera.

Dopo una settimana nell'Achterhuis arrivò anche la famiglia van Pels, mentre nel novembre 1942 si aggiunse il dentista Fritz Pfeffer.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'iniziale speranza di Otto di poter tornare tutti in libertà dopo qualche settimana o al massimo dopo qualche mese, si rivelò vana: essi furono costretti infatti a restare nascosti per poco più di due anni. Durante questo periodo non potevano uscire né fare nulla che potesse attirare l'attenzione (ad esempio facendo rumore). Il clima di tensione nel retrocasa, dove i rifugiati vivevano costantemente nella paura e nell'incertezza, portava ripetutamente a tensioni e conflitti tra loro. Più passava il tempo, più evidenti diventavano i conflitti interpersonali. Ad esempio Anna era in conflitto con Fritz Pfeffer, con il quale doveva condividere la stanza e che quindi disturbava la sua privacy personale: per tale motivo nel diario Anna utilizzò lo pseudonimo di "Dussel" (sciocco), senza tenere in considerazione che anche per il dentista non erano tempi facili, dovendo tra l'altro stare separato dalla compagna Charlotte Kaletta che in quanto cristiana non aveva la necessità di nascondersi. Anna litigò spesso anche con sua madre, soprattutto perché Edith con il passare del tempo sembrava sempre più disperata e senza speranze, cosa che non si confaceva al carattere di Anna: il padre Otto faceva spesso da mediatore. Per Anna era particolarmente dura perché era all'inizio della sua adolescenza, quando si è lunatici e ribelli per natura, e invece lei si ritrovava rinchiusa con i genitori e obbligata a comportarsi in modo rigidamente disciplinato.

Miep Gies non si occupava solo di fornire i viveri, ma anche di informare gli otto sugli eventi di guerra. A mezzogiorno tutti gli aiutanti si incontravano a tavola con gli otto occupanti del retrocasa e la sera, quando tutti gli altri lavoratori dell'impresa se ne erano andati, Anna e gli altri potevano uscire dal retrocasa e andare nell'edificio principale, dove ascoltavano alla radio le sempre più preoccupanti notizie della BBC.

Il 17 luglio partì il primo treno per Auschwitz e agli ebrei fu tolta la cittadinanza.

Durante il periodo di clandestinità, Anna Frank lesse molti libri, migliorò il suo stile e si sviluppò velocemente da ragazzina capricciosa a scrittrice consapevole. Mise in dubbio che suo padre Otto amasse veramente sua madre Edith e supponeva che l'avesse sposata solo per motivi razionali. La stessa Anna cominciò a interessarsi a Peter van Pels, inizialmente descritto come troppo timido e noioso, ma dopo un momento impetuoso con tanto di episodi di tenerezza, la relazione presto finì. Dal diario si evince anche che Anna sapeva delle deportazioni e della taglia che era stata messa sugli ebrei, cosa di cui fu ella stessa vittima pochi giorni dopo l'ultima scrittura sul diario. Alcuni brani del diario in cui la ragazza, ormai alle soglie della pubertà, annota i propri dubbi e curiosità riguardo al sesso, vennero in seguito espunti dalle prime versioni date alle stampe, così come una serie di annotazioni della giovane in merito ai suoi dubbi circa l'affiatamento dei propri genitori.

 

L'arresto

Il mattino del 4 agosto 1944, attorno alle 10.00, la Gestapo fece irruzione nell'alloggio segreto, in seguito a una segnalazione da parte di una persona che non è mai stata identificata. Tra i sospettati vi è un magazziniere della ditta di Otto Frank, Willem Van Maaren. Nel Diario, in data giovedì 16 settembre 1943, Anna afferma esplicitamente che Van Maaren nutriva dei sospetti sull'alloggio segreto, e lo descrive come "una persona notoriamente poco affidabile, molto curiosa e poco facile da prendere per il naso". Gli otto clandestini vennero arrestati insieme con Kugler e Kleiman e trasferiti al quartier generale della SD, in Euterpestraat ad Amsterdam poi nella prigione di Weteringschans e dopo tre giorni l'8 agosto al campo di smistamento di Westerbork.

Gli aiutanti non furono più in grado di proteggere i clandestini e furono costretti a mostrare il nascondiglio all'agente nazista (di origine austriaca) Karl Josef Silberbauer. Kugler e Kleiman furono portati nelle prigioni del Sicherheitsdienst delle SS in Euterpestraat. L'11 settembre 1944 furono trasferiti nel Campo di concentramento di Amersfoort. Kleiman fu liberato il 18 settembre 1944 per motivi di salute, Kugler invece riuscì a fuggire il 28 marzo 1945. Miep Gies e Bep Voskuilj, presenti al momento dell'arresto, scapparono mentre la polizia arrestava i clandestini (restando nei paraggi della palazzina). Dopo la partenza della polizia e prima del suo ritorno per la perquisizione, Mep Gies tornò alla palazzina per raccogliere quanti più fogli possibili tra quelli che l'agente Silberbauer aveva sparso per la stanza mentre stava cercando una cassetta con il denaro dei prigionieri: questi appunti furono custoditi in un cassetto della sua scrivania della ditta al fine di restituirli ad Anna o a suo padre alla fine della guerra. È possibile che alcuni scritti di Anna — oltre a un diario tenuto dalla sorella Margot, di cui Anna fa menzione — siano andati perduti.

Gli otto rifugiati vennero dapprima interrogati dalla Gestapo e tenuti in arresto per la notte. Il 5 agosto vennero trasferiti nella sovraffollata prigione Huis van Bewaring in Weteringschans. Due giorni dopo ci fu un nuovo trasferimento al Campo di concentramento di Westerbork. Dato che erano stati arrestati come delinquenti, erano costretti a compiere i lavori più duri. Le donne - separate dagli uomini - lavoravano nel reparto pile: vivevano nella speranza di rendersi indispensabili nel loro lavoro, evitando così un destino ancora peggiore. Alle loro orecchie arrivavano non solo notizie positive sull'avanzata degli Alleati, ma anche quelle più tetre sui trasporti verso i campi di concentramento in Europa orientale. Secondo alcune testimonianze dei prigionieri di Westerbork, Anna sembrava persa. Dopo un lungo periodo in clandestinità aveva ritrovato la fiducia attraverso la fede. Il 2 settembre, insieme con la sua famiglia e la famiglia van Pels, durante l'appello venne selezionata per il trasporto ad Auschwitz.

 

Il delatore

Nonostante le ricerche fatte dopo la guerra, la persona (o forse le persone) che avvisarono la Gestapo della presenza di otto persone negli uffici di Prinsengracht non fu mai individuata con certezza. Otto Frank scrisse a Kugler, già negli anni Sessanta, che, in base alle ricerche da lui effettuate, la telefonata alla Gestapo che portò al loro arresto sarebbe stata fatta da una donna la mattina stessa del 4 agosto 1944. L'agente che arrestò gli otto rifugiati, Karl Josef Silberbauer, non seppe o non volle fornire l'identità del delatore, anche se ammise che non era pratica abituale mandare immediatamente una pattuglia subito dopo una delazione anonima, a meno che la denuncia non provenisse da informatori già noti e, pertanto, affidabili.

In base alle annotazioni sul diario di Anna e ai sospetti dei dipendenti della ditta, che dopo la guerra ne misero a parte Otto Frank, il delatore fu inizialmente identificato nel magazziniere Willem van Mareen (1895-1971), assunto dalla Opekta nel 1943 per sostituire il padre di Bep Voskuijl, malato di cancro. Emerse che l'uomo, prima di essere assunto dalla Opekta, era stato licenziato dal precedente lavoro con l'accusa di furto. La giovane impiegata Bep Voskuijl affermò che van Mareen le incuteva timore e tanto lei quanto gli altri benefattori ricordarono numerosi comportamenti del magazziniere che apparivano sospetti.

In più occasioni, Van Mareen era stato notato aggirarsi all'interno dell'edificio, anche al di fuori del magazzino dove svolgeva la propria attività e, almeno in un caso, avrebbe chiesto al direttore Kugler se un tal Otto Frank avesse precedentemente lavorato per la Opekta, domanda a cui Kugler rispose evasivamente, lasciando intendere che Frank e la famiglia erano riusciti a fuggire clandestinamente in Svizzera e da allora non avevano più dato notizie. Altre volte, van Maaren avrebbe interrogato con curiosità Kleiman chiedendo a chi appartenessero le stanze ubicate ai piani superiori dell'edificio e come mai mancasse un accesso diretto a detti locali.

Kugler sorprese spesso van Mareen piazzare quelle che definì "trappole" (farina sul pavimento dove sarebbero rimaste impronte, oggetti in disordine sui tavoli) nei locali della ditta poco prima dell'orario di chiusura dell'ufficio ma, alla richiesta di spiegazioni, si giustificò asserendo che stava solo cercando di smascherare i ladri che avevano ripetutamente saccheggiato i magazzini. Un giorno, inoltre, van Mareen consegnò a Kugler un borsellino vuoto (appartenente a Hermann van Pels) sostenendo di averlo rinvenuto il mattino presto nel magazzino e chiedendogli se fosse suo. Van Pels confidò a Kugler di essersi effettivamente recato in detto locale la notte prima e che in tale occasione il borsellino, contenente una notevole somma di denaro e tagliandi alimentari, doveva essergli scivolato di tasca; tuttavia, quando van Mareen rese l'oggetto al direttore, i soldi mancavano.

Dopo l'arresto dei rifugiati, i furti nel magazzino continuarono e in alcune occasioni furono completamente saccheggiate anche riserve di provviste (spezie, conservanti e altro) e denaro prima di allora rimasti nascosti. A detta di Miep Gies, van Mareen si sarebbe vantato di poter fare qualcosa per ottenere il rilascio degli arrestati e la donna rimase ancor più contrariata quando scoprì che la Gestapo aveva incaricato proprio lui di vigilare sulla ditta. Solo dopo la guerra Kleiman riuscì a licenziare van Mareen, avendolo colto in flagranza nell'atto di rubare.

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Van Mareen non negò mai esplicitamente di aver rubato merce sul posto di lavoro: deve comunque notarsi che gli ultimi anni dell'occupazione tedesca nei Paesi Bassi furono particolarmente pesanti per la popolazione locale a causa delle requisizioni di viveri e del razionamento anche dei beni di prima necessità, e che quindi episodi di furto e vandalismo non erano affatto rari. L'ex magazziniere comunque negò con forza di aver tradito lui i rifugiati, anche se il suo collega, tal Lammert Hartog, dichiarò che, al massimo due settimane prima dell'irruzione della Gestapo, van Mareen gli avrebbe detto in confidenza che nell'edificio si nascondevano degli ebrei. Van Maaren fu indagato due volte per le sue presunte responsabilità nel tradimento dei rifugiati, la prima volta nel 1948 e quindi nel 1963, ma non emersero mai prove concrete contro di lui.

L'ex nazista Silberbauer, all'epoca ancora in vita, dichiarò che il magazziniere non era noto come informatore della Gestapo e negò di conoscerlo. L'uomo si dichiarò estraneo ai fatti, sostenendo che la sua curiosità era dovuta semplicemente al desiderio di allontanare i sospetti di furto dalla sua persona e aggiunse, smentendo il collega Hartog ormai deceduto di non aver mai avuto sospetti sulla presenza di clandestini nell'edificio, pur ammettendo di aver notato "una certa aria di segretezza" ma asserendo che la notizia dell'arresto lo aveva lasciato sconvolto.

Emerse, inoltre, che, durante la guerra, l'uomo aveva tenuto nascosto in casa uno dei propri figli, studente universitario, che aveva rifiutato di arruolarsi al seguito degli invasori nazisti; tale circostanza parve deporre a suo favore. Willem van Maaren morì ad Amsterdam il 28 novembre 1971 all'età di 76 anni, professando la propria innocenza fino all'ultimo.

La seconda persona sospettata di delazione fu Lena Hartog-van-Bladeren (deceduta nel 1963), che aveva lavorato per diverso tempo come donna delle pulizie e collaboratrice domestica, anche presso gli uffici di Prinsengracht, anche se inspiegabilmente aveva nascosto tale circostanza agli inquirenti. Suo marito Lammert lavorava in magazzino come aiutante di van Maaren e da questi aveva sentito i racconti sulle sue osservazioni, poi raccontate anche alla moglie. Nel mese di luglio 1944, Lena Hartog avrebbe avuto un colloquio con Bep Voskuijl, chiedendole spiegazioni sulla presenza di ebrei che si nascondevano nell'edificio; l'impiegata non ammise alcunché, limitandosi a suggerire alla donna di guardarsi bene dal fare certe affermazioni, considerato il pericolo cui simili chiacchiere potevano esporre tutto il personale della Opekta. Nello stesso periodo, inoltre, Lena Hartog aveva prestato servizio presso una famiglia di conoscenti di Otto Frank e Johannes Kleiman, tali Anne e Petrus Genot, quest'ultimo collega di lavoro del fratello di Kleiman. La Hartog si sarebbe più volte lamentata con Anne Genot del fatto che alcuni ebrei si nascondevano in Prinsengracht e che ciò avrebbe provocato guai a lei e al marito se la circostanza fosse stata di dominio pubblico. Emerse in seguito che, nel vicinato, non pochi abitanti e impiegati di ditte vicine avevano nutrito sospetti sulla presenza dei rifugiati al numero 263, ma in generale era prevalso un atteggiamento di solidarietà, tanto più che in zona si nascondevano anche altri ebrei. I sospetti su Lena vengono rafforzati dalle ricerche da cui Otto Frank scoprì che probabilmente la chiamata alla Gestapo era stata fatta da una donna: ma nemmeno contro di lei si riuscì a trovare alcuna prova.

Nel 1998 la scrittrice Melissa Müller la identificò come responsabile della delazione, ma ritirò l'accusa nel 2003 allorquando la storica britannica Carol Ann Lee confutò tale tesi, supportata dalle ricerche senza esito del Istituto olandese per la documentazione di guerra (Nederlands Instituut voor Oorlogsdocumentatie, NIOD). Nel suo libro The hidden life of Otto Frank (2002) la Lee propose un nuovo nome, quello di Anton Ahlers (1917-2000), un olandese cacciatore di taglie sugli ebrei. All'epoca dell'occupazione nazista tali cacciatori di taglie erano numerosi e si guadagnavano da vivere grazie ai premi riconosciuti a chi permetteva l'arresto di un ebreo. Dalle ricerche della Lee risulterebbe che il potenziale delatore, che lavorava come informatore per Kurt Döring del quartier generale della Gestapo ad Amsterdam, aveva ricattato Otto Frank. Questa tesi tuttavia è dibattuta: il NIOD non la considera veritiera, in quanto sono supposizioni legate esclusivamente a dichiarazioni dello stesso Ahlers (che si vantava di aver svelato il luogo del nascondiglio) e dei suoi famigliari (la moglie Martha smentì il marito, mentre il fratello Cas confermò la versione del tradimento).

Nel 2009 il giornalista olandese Sytze van der Zee nel suo libro Vogelvrij – De jacht op de joodse onderduiker si occupò dell'ipotesi che la traditrice potesse essere stata Ans van Dijk. Nonostante fosse ella stessa ebrea, la Van Dijk consegnava al Bureau Joodsch Zaken ebrei che si erano nascosti e che lei attirava in una trappola, con la promessa di trovare un nuovo rifugio. Secondo van der Zee, Otto Frank sapeva che la delazione era stata opera non solo di una donna, ma di una donna ebrea: per tale motivo avrebbe taciuto per non alimentare ulteriori pregiudizi. Tuttavia van der Zee non fu in grado di risolvere questo enigma: Ans van Dijk fu comunque l'unica donna fra 39 persone a essere giustiziata per reati in tempo di guerra.

Nell'aprile 2015, nei Paesi Bassi uscì un libro (di cui è coautore uno dei figli di Bep Voskuijl, Joop van Wijk), dal titolo "Bep Voskuijl, Het Zwigen Voorbij" (ovvero: Bep Voskuijl, Basta silenzio)" che fornì una nuova versione sulla possibile identità del delatore, da identificarsi in Hendrika Petronella Voskuijl detta Nelly, sorella minore di Bep Voskuijl e a sua volta, per un breve periodo, dipendente della ditta Opekta in qualità di impiegata. Nelly Voskuijl, diversamente dal padre e dalla sorella, non faceva mistero delle proprie simpatie per il nazismo, tanto da essersi anche offerta per il lavoro volontario in Germania; tale ultima circostanza venne annotata dalla stessa Anna - molto legata a Bep Voskuijl, di pochi anni più grande di lei - nel proprio diario.

In altri passi, Anna rilevò che c'erano state tensioni a proposito della sorella di Bep, che avrebbe preteso di essere stabilmente assunta dalla Opekta. Le testimonianze di Diny Voskuijl, sorella superstite di Bep e Nelly (quest'ultima deceduta nel 2001), nonché tal Bertus Hulsman, amico d'infanzia ed ex fidanzato di Bep durante la guerra, raccolte nel libro, indicano frequenti litigi tra Nelly e Bep, durante i quali la prima avrebbe ripetutamente rinfacciato alla sorella di stare nascondendo degli ebrei. Deve inoltre notarsi che le numerose lettere scambiate tra Bep e Otto Frank dopo la guerra sono state fatte sparire tutte dopo la morte di Bep, avvenuta nel maggio 1983, probabilmente per nascondere le responsabilità di parte della famiglia Voskuijl nell'arresto e deportazione di otto persone.

 

Prigionia e destino dei rifugiati

Il 3 settembre 1944 Anna e gli altri clandestini vennero caricati sull'ultimo treno merci in partenza per Auschwitz, dove giunsero tre giorni dopo. Edith, che già durante la clandestinità aveva manifestato segni di depressione, morì di inedia ad Auschwitz-Birkenau il 6 gennaio 1945, secondo alcune testimoni provata dall'essere stata separata dalle figlie. Hermann Van Pels morì in una camera a gas di Auschwitz il giorno stesso dell'arrivo, secondo la Croce Rossa, o poche settimane più tardi, secondo Otto Frank, a causa di una ferita infetta. Auguste Van Pels passò tra Auschwitz, Bergen-Belsen (dove per qualche tempo riuscì a stare vicina ad Anna e Margot e addirittura a far incontrare Anna con la sua amica Hanneli Goslar, anch'ella internata nel lager), e Buchenwald arrivando a Theresienstadt il 9 aprile 1945. Deportata altrove, non si conosce la data del decesso.

Peter Van Pels, pur consigliato da Otto Frank di nascondersi con lui nell'infermeria di Auschwitz durante l'evacuazione, non riuscì a seguirlo e fu aggregato a una Marcia della morte il 16 gennaio 1945 che lo portò da Auschwitz a Mauthausen (Austria), dove morì il 5 maggio seguente, appena tre giorni prima della liberazione. Fritz Pfeffer, a quanto sembra fisicamente e psicologicamente provato, dopo essere passato per i campi di concentramento di Sachsenhausen e Buchenwald, morì nel campo di concentramento di Neuengamme il 20 dicembre 1944.

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Margot e Anna passarono un mese ad Auschwitz-Birkenau e vennero poi spedite a Bergen-Belsen, dove morirono di tifo esantematico, prima Margot e alcuni giorni dopo Anna. La data della loro morte non è nota con certezza, era solitamente indicata come avvenuta nel mese di marzo, ma nuove ricerche pubblicate nel 2015 l'hanno retrodatata al febbraio 1945. Una giovane infermiera olandese, Janny Brandes-Brilleslijper, che nel lager aveva stretto amicizia con le due ragazze e assistito alla morte di Anna, seppellì personalmente i cadaveri in una delle fosse comuni del campo e, subito dopo la liberazione, scrisse a Otto Frank comunicandogli la tragica notizia.

Kleiman fu liberato per intervento della Croce Rossa un mese dopo l'arresto, il 18 settembre 1944, a causa delle gravi ulcere che lo affliggevano da anni. È morto ad Amsterdam nel 1959, mentre lavorava negli uffici di Prinsengracht, dove aveva ripreso le sue funzioni di procuratore della ditta. Kugler venne deportato in più campi di concentramento, sino al termine della guerra. Riuscì a evadere durante un bombardamento e a fare ritorno a Hilversum, dove la moglie, malata terminale, lo nascose nell'ultimo mese di guerra. Nel dopoguerra, Kugler si risposò e si trasferì in Canada; minato dalla malattia di Alzheimer, morì a Toronto nel 1981.

Solo il padre di Anna, tra i clandestini, sopravvisse ai campi di concentramento. Rimase sempre ad Auschwitz; il campo venne poi liberato dall'esercito sovietico il 27 gennaio 1945; il 3 giugno tornò ad Amsterdam dopo tre mesi di viaggio, dove si stabilì presso Miep Gies e il marito Jan, assistendo alla nascita del loro figlio, Paul. Una volta appresa la notizia della morte di Anna e Margot, Miep consegnò a Otto il diario della ragazza, che lei stessa aveva conservato nel proprio ufficio con l'intento di restituirlo solo alla legittima proprietaria. Egli, superato l'iniziale sconforto per la perdita della propria famiglia, mostrò gli scritti della figlia a diversi amici che lo convinsero a darlo alle stampe.

Otto stesso, in sede di revisione del manoscritto, ne modificò la grammatica e la sintassi, omettendo alcune parti perché considerate troppo private e poco rispettose dei compagni di sventura, in modo da renderlo adatto per la pubblicazione. Il diario venne pubblicato nel 1947 con il titolo di Het Achterhuis ("Il retrocasa" in olandese). Otto, che nel frattempo si era risposato con una superstite di Auschwitz, la viennese Elfriede Markovits, madre di un'amica di scuola di Anna, morì di cancro ai polmoni a Basilea, in Svizzera, dove si era stabilito da tempo, il 19 agosto 1980, all’età di 91 anni.

 

Il Diario di Anna Frank

Il diario ha inizio come una espressione privata dei pensieri intimi dell'autrice, la quale manifesta l'intenzione di non permettere mai che altri ne prendano visione. Anna racconta della propria vita, della propria famiglia e dei propri amici, del suo innamoramento per Peter nonché della sua precoce vocazione a diventare scrittrice. Il diario manifesta la rapidissima maturazione morale e umana dell'autrice e contiene anche considerazioni di carattere storico e sociale sulla guerra, sulle vicende del popolo ebraico e sulla persecuzione antisemita, sul ruolo della donna nella società.

Durante l'inverno del 1944, ad Anna capitò di ascoltare una trasmissione radio di Gerrit Bolkestein — membro del governo olandese in esilio — il quale diceva che, una volta terminato il conflitto, avrebbe creato un registro pubblico delle oppressioni sofferte dalla popolazione del Paese sotto l'occupazione nazista; il ministro menzionò la pubblicazione di lettere e diari, cosa che spinse Anna a riscrivere sotto altra forma, e con diversa prospettiva, il proprio.

Esistono quindi due versioni autografe del diario:

  1. la versione A, la prima redazione originale di Anna, che va dal 12 giugno 1942 al 1 agosto 1944, della quale non è stato ritrovato il quaderno (o i quaderni) che copriva il periodo 6 dicembre 1942 - 21 dicembre 1943;

  2. la versione B, la seconda redazione di Anna, su fogli volanti, in vista della pubblicazione, che copre il periodo 20 giugno 1942 - 29 marzo 1944.

Il testo su cui si basò la prima edizione del 1947 (versione C) fu compilato da Otto Frank basandosi principalmente sulla versione B, apportando modifiche e cancellazioni e aggiungendo quattro episodi tratti da un altro autografo di Anna, i Racconti dell'alloggio segreto. L'edizione critica del diario, pubblicata nel 1986, compara queste tre versioni.

La casa dove Anna e la famiglia si nascondevano è ora un museo. Si trova al 263 di Prinsengracht, nel centro della città, raggiungibile a piedi dalla stazione centrale, dal palazzo reale e dal Dam. Nel 1956 il diario venne adattato in un'opera teatrale che vinse il Premio Pulitzer, nel 1959 ne venne tratto un film, nel 1997 ne fu tratta un'opera di Broadway con materiale aggiunto dal diario originale.

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Halina Birenbaum
Halina Birenbaum, nata Grynsztajn (Varsavia15 settembre 1929), è una scrittricepoetessatraduttriceattivista e superstite dell'Olocausto polacca naturalizzata israeliana.
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Biografia

Halina Birenbaum nacque a Varsavia nel 1929 da Jakub Grynsztajn e Pola Perl, nata Kijewska. Aveva due fratelli maggiori. La sua casa era situata all'interno di quello che, dopo l'occupazione della Polonia da parte della Germania, divenne il ghetto di Varsavia. Dopo la sua liquidazione nel luglio 1943, i Grynsztajn furono brevemente trasferiti a Majdanek e poi ad Auschwitz. Nel gennaio 1945 Halina fu deportata a Ravensbrück e a febbraio a Neustadt-Glewe, dove fu liberata dall'Armata Rossa nel maggio 1945. Sua madre fu assassinata a Majdanek, mentre suo padre morì nel campo di sterminio di Treblinka.

Nel 1947, a causa dell'antisemitismo, emigrò in Israele, dove sposò Chaim Birenbaum ed ebbe due figli. Fino alla fine del 1950 lavorò in un kibbutz.

 

Stile letterario

La vita e la morte durante l'occupazione tedesca della Polonia e il martirio degli ebrei polacchi nei ghetti e nei campi di sterminio sono i temi salienti della sua prosa e della sua produzione poetica. Le sue opere, che sono in parte scritte in polacco e in parte in ebraico, sono state tradotte in molte lingue, tra cui inglese, francese, tedesco, giapponese e spagnolo.

 

Prosa

  • Hope is the last to die (Nadzieja umiera ostatnia), 1967.

  • Return to ancestors' land (Powrót do ziemi praojców), 1991

  • Scream for remembrance (WoÅ‚anie o pamięć)

  • It's not the rain, it's people (To nie deszcz, to ludzie), 2019

Poesie

  • Even when I laugh (Nawet gdy siÄ™ Å›miejÄ™)

  • Not about flowers (Nie o Kwiatach)

  • Words cannot convey (Jak można w sÅ‚owach)

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Eva Heyman

Eva Heyman ( ungherese : Éva Heyman, 13 febbraio 1931 - 17 ottobre 1944) era una ragazza ebrea di Oradea. Ha iniziato a tenere un diario nel 1944 durante il dominio nazista in Ungheria. Pubblicato sotto il nome di The Diary of Eva Heyman, il suo diario è stato paragonato a The Diary of Anne Frank. Parla dell'estremo deterioramento delle circostanze che la comunità ebraica ha affrontato in città, offrendo un resoconto dettagliato della perdita di ricchezza e proprietà che hanno subito. Heyman aveva 13 anni quando lei e i suoi nonni morirono nell'Olocausto .

Nel maggio 2019 è stato lanciato il progetto Eva Stories, che mostra visivamente gli estratti del suo diario su Instagram.

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Biografia

Heyman iniziò a scrivere il suo diario per il suo tredicesimo compleanno il 13 febbraio 1944 (lo stesso anno in cui i nazisti stabilirono la loro presa in Ungheria). La città in cui è nata è stata variamente chiamata Nagyvárad e Oradea nel corso della sua storia. Quando è nata è la rumena Oradea; nel suo diario, Heyman lo chiama "Varad", abbreviazione di Nagyvárad, poiché la città è sotto il dominio ungherese in quegli anni.

È cresciuta in una famiglia ebrea ungherese. Suo padre, Béla Heyman, era un architetto di una famiglia di spicco. La famiglia possedeva un hotel, scritto da Heyman, "pieno di tappeti persiani". I suoi genitori divorziarono quando era una bambina. Sua madre ha sposato la scrittrice socialista Béla Zsolt. Suo nonno era un farmacista, che aveva sostenuto il Regno di Ungheria contro la Romania. Heyman ricorda di aver visto l'arrivo di Miklós Horthy dalla finestra della farmacia di suo nonno.

Anche sua madre Ágnes "Ági" Zsolt era farmacista. Sua figlia l'ha descritta come "più bella di Greta Garbo ". Ági e Zsolt vivevano a Parigi quando i tedeschi invasero la Polonia . Terrorizzata per sua figlia, convinse il marito a tornare a Budapest. Fu detenuta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen , ma fu messa in salvo in Svizzera dopo essere stata salvata dal campo. Si suicidò dopo la pubblicazione del diario di sua figlia. La posizione del manoscritto originale non è nota.

Cresciuta in una famiglia politica, Heyman e i suoi nonni si sarebbero aspettati un duro trattamento mentre i nazisti si avvicinavano a Nagyvárad nel 1944. Heyman era patologicamente preoccupato della propria morte per mano dei nazisti, che credeva fosse inevitabile dopo il suo meglio un amico è stato ucciso dai nazisti. Il suo diario inizia mentre le incursioni aeree delle sirene annunciano l'avvicinarsi dei nazisti a Nagyvárad. Insieme ai nonni, Heyman perse la vita ad Auschwitz nell'ottobre del 1944.

 

Diario e pubblicazione

Il diario di Heyman è stato pubblicato per primo in ungherese. Fu tradotto per la prima volta in ebraico da Yad Vashem nel 1964, poi in inglese da Moshe M. Kohn. L'edizione inglese è stata pubblicata da Yad Vashem nel 1974. Il diario è stato confrontato con The Diary of Anne Frank.

Nel suo diario parla della sua festa per il 13° compleanno, l'ultima prima di essere uccisa ad Auschwitz. Scrive di una piacevole festa con tè, panini e un tipo di torta al cioccolato chiamata Sacher torte. Le viene dato un abito in maglia blu navy, un cappotto primaverile marrone chiaro e per la prima volta due paia di calze trasparenti. Ha anche ricevuto un assortimento di libri, caramelle, dischi, arance e cioccolatini.

Scrive di sua madre che brucia libri scritti da Béla Zsolt, che lei chiama "Zia Bela", e la distruzione di opere di altri autori ritenute pericolose come Ferenc Molnár. Ammette di aver letto il romanzo di Molnár The Paul Street Boys.

 

Commemorazione e rappresentazione nella cultura

  • Nel 2012 è stato aperto un centro di ricerca per la storia ebraica presso l'Università di Oradea (Nagyvarad), che prende il nome da Eva Heyman.

  • Nel 2015, la città di Oradea (Nagyvarad) è stata collocata una statua in memoria dei bambini della città assassinati nell'Olocausto nel Parco Bălcescu, da cui 3000 ebrei furono deportati in treno ad Auschwitz tra il 24 maggio e il 3 giugno 1944.

  • Nel 2017, uno spettacolo teatrale intitolato "Eva Heyman: Anne Frank della Transilvania" è stato organizzato in Romania sulla base della storia di Eva.

 

Eva Stories

A maggio 2019, una serie di brevi video che illustrano la sua storia è stata caricata su Instagram nello stile che caratterizza i media e con il titolo Eva Stories. I video hanno attirato l'interesse mondiale.

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Renia Spiegel

Renia Spiegel (UhryÅ„kowce18 giugno 1924 – PrzemyÅ›l30 luglio 1942) è stata una giovane ebrea polacca uccisa durante l'Olocausto.

Il suo diario, scritto tra i 15 e i 18 anni, documenta la sua esperienza da adolescente nella città di PrzemyÅ›l durante la Seconda Guerra Mondiale, quando le condizioni per gli ebrei si deteriorarono. Spiegel scrisse su argomenti ordinari come la scuola, le amicizie e il romanticismo, nonché sulla sua paura della guerra in crescita e sull'essere costretta a trasferirsi nel ghetto di PrzemyÅ›l. Sebbene fosse in possesso della famiglia Spiegel da decenni, il diario non è stato letto da altri fino al 2012.

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Biografia

Renia Spiegel nacque il 18 giugno 1924 a UhryÅ„kowce, poi in Polonia e ora nell'Ucraina occidentale, dai genitori ebrei polacchi Bernard Spiegel e Róza Maria LeszczyÅ„ska. È cresciuta nella tenuta di suo padre sul fiume Dniester vicino al vecchio confine rumeno, insieme a una sorella di otto anni più giovane di lei, Ariana, che era una stella del cinema per bambini in Polonia.

 

Spiegel e Ariana alloggiavano nel piccolo appartamento dei nonni a PrzemyÅ›l, in Polonia, quando il Patto Molotov-Ribbentrop nell'agosto 1939 e la successiva invasione nazista della Polonia fecero separare loro dalla madre a Varsavia. La nonna di Spiegel possedeva un negozio di cartoleria e suo nonno era un imprenditore edile. Mentre la guerra continuava, Spiegel frequentò la scuola e socializzò a PrzemyÅ›l, e nel 1940 iniziò a sviluppare un rapporto romantico con Zygmunt Schwarzer, figlio di un importante medico ebreo.

Quando il ghetto di PrzemyÅ›l fu istituito nel luglio 1942, Spiegel si trasferì insieme ad altri 24.000 ebrei. Dopo circa due settimane, Schwarzer fece evadere segretamente Spiegel dal ghetto e nascose lei e i suoi genitori nella soffitta della casa di suo zio per aiutarli a evitare la deportazione nei campi di concentramento. Successivamente un informatore anonimo riferì del nascondiglio alla polizia nazista, che giustiziò la diciottenne Spiegel insieme ai genitori di Schwarzer per strada il 30 luglio 1942.

La madre, la sorella e Schwarzer di Spiegel sopravvissero alla guerra ed emigrarono negli Stati Uniti.

 

Il diario

Spiegel iniziò a comporre il suo diario il 31 gennaio 1939, quando aveva quindici anni. Il diario di quasi 700 pagine era per lo più tenuto segreto, ed era composto da sette quaderni scolastici cuciti insieme. Il diario parla in gran parte della vita scolastica, sociale e familiare di Spiegel a PrzemyÅ›l, toccando in particolare la sua angoscia per essere stata separata da sua madre, il suo rapporto romantico con Zygmunt Schwarzer, la paura della guerra in crescita e il terrore di trasferirsi nel ghetto. Oltre alle voci scritte a mano, il diario contiene disegni e poesie scritte da Spiegel. Nella sua ultima pagina, Spiegel scrisse:

 

«Mio caro diario, mio ​​caro, caro amico! Abbiamo attraversato momenti così terribili insieme e ora il momento peggiore è alle porte. Potrei avere paura adesso. Ma colui che non ci ha lasciato, allora ci aiuterà anche oggi. Ci salverà. Ascolta, Israele, salvaci, aiutaci. Mi hai tenuto al sicuro da proiettili e bombe, dalle granate. Aiutami a sopravvivere! E tu, mia cara mamma, prega per noi oggi, prega intensamente. Pensa a noi e possano i tuoi pensieri essere benedetti.»

 

Nel luglio 1942, Schwarzer prese possesso del diario e scrisse le ultime voci su come nascondere Spiegel fuori dal ghetto e sulla sua morte: "Tre colpi! Tre vite perse! Tutto quello che posso sentire sono colpi, colpi".

Schwarzer portò con sè il diario negli Stati Uniti dopo la guerra, e lo diede alla madre di Spiegel negli anni '50 o '60. La sorella di Spiegel, Ariana, entrò in possesso del diario nel 1969.

I giornalisti hanno confrontato e comparato il diario di Spiegel con quello di Anna Frank; la rivista Smithsonian ha osservato che "Renia era un po' più grande e più sofisticata... Viveva anche nel mondo invece che in solitudine".

 

Eredità

Sebbene fosse in possesso della famiglia Spiegel da decenni, il diario non fu letto da altri fino al 2012, quando la figlia di Ariana, Alexandra Renata Bellak, lo fece tradurre per la prima volta in inglese dai traduttori Anna Blasiak e Marta Dziurosz. Il diario è stato pubblicato in polacco nel 2016 e ha ispirato uno spettacolo teatrale polacco. Gli estratti sono stati pubblicati per la prima volta in inglese sulla rivista Smithsonian nel 2018. La sua prima pubblicazione in inglese, intitolata Renia’s Diary: A Young Girl’s Life in the Shadow of the Holocaust, è stata programmata nel mese di settembre del 2019.

Il diario è anche il soggetto di un film documentario diretto da Tomasz Magierski dal titolo Broken Dreams. Il film è stato presentato in anteprima alle Nazioni Unite a New York come parte del suo programma di commemorazione dell'Olocausto.

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Le donne durante l'olocausto

Vittime della persecuzione e dello sterminio nazisti furono sia gli uomini che le donne di etnia ebraica. Tuttavia, le donne - sia ebree che non-ebree - furono spesso soggette ad una persecuzione eccezionalmente brutale da parte del regime. L'ideologia nazista prese di mira anche le donne Rom (Zingare), quelle di nazionalità polacca e quelle che avevano difetti fisici o mentali e che vivevano negli istituti.

Interi campi, così come speciali aree all’interno di altri campi di concentramento, furono destinati specificatamente alle donne. Nel maggio del 1939, i Nazisti aprirono il più grande campo di concentramento esclusivamente femminile, quello di Ravensbrück, dove più di 100.000 donne vi furono incarcerate tra la sua apertura e il momento in cui le truppe sovietiche lo liberarono, nel 1945. Un campo femminile fu costituito anche ad Auschwitz-Birkenau nel 1942 (conosciuto anche come Auschwitz II), per incarcerare principalmente le donne; tra le prime ad esservi rinchiuse furono proprio prigioniere provenienti da Ravensbrück. Analogamente, una zona femminile venne creata a Bergen-Belsen nel 1944, dove le SS trasferirono migliaia di prigioniere ebree provenienti da Ravensbrück e Auschwitz.

Né le donne né i bambini, ebrei come non-ebrei, vennero risparmiati dalle uccisioni di massa condotte dai Nazisti e dai loro collaboratori. L'ideologia nazista sosteneva la necessità di eliminare tutti gli Ebrei, senza differenza di età o di genere. Le SS tedesche, insieme alle autorità di polizia, si occuparono di mettere in pratica quella politica, chiamata in codice "Soluzione Finale", fucilando in massa uomini e donne in centinaia di località dell'Unione Sovietica occupata. Durante le deportazioni, le donne in stato di gravidanza e le madri di bambini piccoli venivano generalmente catalogate come "inabili al lavoro" e venivano perciò trasferite nei campi di sterminio, dove gli addetti alla selezione le inserivano quasi sempre nei gruppi di prigionieri destinati a morire subito alle camere a gas.

Le donne ebree ortodosse accompagnate dai bambini erano particolarmente vulnerabili, siccome vestivano abiti tradizionali che le rendevano facilmente individuabili, anche durante le crudeli violenze dei pogrom. Inoltre, il gran numero di bambini che generalmente caratterizzava quelle famiglie ortodosse, rese le loro donne uno degli obiettivi principali dell'ideologia nazista.

Donne non appartenenti alla popolazione ebraica erano però altrettanto vulnerabili: i Nazisti condussero infatti operazioni di assassinio di massa di donne Rom anche nel campo di concentramento di Auschwitz; uccisero donne disabili nel corso delle operazioni denominate T-4 ed "Eutanasia"; infine, tra il 1943 e il 1944, in molti villaggi dell'Unione Sovietica, massacrarono donne e uomini considerati appartenenti a unità partigiane.

Nei ghetti, così come nei campi di concentramento, i Nazisti selezionavano le donne per inviarle a lavori forzati che spesso ne causavano la morte. Inoltre, i medici e ricercatori nazisti spesso usarono donne ebree e Rom per esperimenti sulla sterilizzazione e per altre pratiche disumane di ricerca, contrarie a qualunque etica. Sia nei campi che nei ghetti, le donne erano particolarmente vulnerabili e soggette spesso sia a pestaggi che a stupri. Le donne ebree in gravidanza cercavano di nascondere il loro stato per non essere costrette ad abortire. Anche le donne deportate dalla Polonia e dall'Unione Sovietica per essere impiegate nei lavori forzati per il Reich, venivano spesso picchiate e violentate, o forzate a prestazioni sessuali in cambio di cibo o altri generi di conforto. La gravidanza fu l'ovvia conseguenza per molte donne polacche, sovietiche e yugoslave inviate ai lavori forzati e costrette a relazioni sessuali con i Tedeschi. Se i cosiddetti "esperti della razza" determinavano che il bambino non potesse essere "germanizzato", le donne venivano generalmente obbligate ad abortire, o mandate a partorire in ospedali improvvisati, dove le condizioni avrebbero garantito la morte dei nascituri. Altre volte, invece, venivano semplicemente rispedite nelle regioni d'origine, senza cibo né assistenza medica.

Molte donne incarcerate nei campi di concentramento crearono gruppi di mutua assistenza che permettevano loro di sopravvivere grazie allo scambio di informazioni, di cibo e di vestiario. Spesso le donne appartenenti a questi gruppi provenivano dalla stessa città o dalla stessa provincia, avevano lo stesso livello di istruzione o condividevano legami familiari. Infine, altre donne furono in grado di salvarsi perché le SS le trasferirono nei reparti destinati al rammendo degli abiti, nelle cucine, nelle lavanderie o nei servizi di pulizia.

Le donne ebbero anche un ruolo importante in numerose operazioni della Resistenza, specialmente quelle appartenenti ai movimenti giovanili socialisti, comunisti e sionisti. In Polonia, le donne vennero impiegate come corrieri per portare informazioni nei ghetti; molte altre scapparono nei boschi della Polonia orientale e dell'Unione Sovietica, dove si unirono alle unità partigiane. Un ruolo importante assunsero anche molte appartenenti alla Resistenza francese (e ebraico-francese): Sophie Scholl, studentessa all'Università di Monaco di Baviera e membro dell'unità della Resistenza chiamata "Rosa Bianca", venne arrestata e fucilata nel 1943 per aver distribuito volantini contro il Nazismo.

Alcune donne, come Haika Grosman, di Bialistok, furono leader o membri di organizzazioni della Resistenza nei campi di concentramento. Ad Auschwitz, cinque donne assegnate al reparto di Vistola per la lavorazione del metallo - Ella Gartner, Regina Safir, Estera Wajsblum, Roza Robota e, forse, Fejga Segal - fornirono la polvere da sparo con la quale membri di un'Unità Speciale Ebraica fecero saltare in aria una camera a gas, uccidendo molte guardie delle SS, nel corso della rivolta dell’ottobre 1944.

Numerose donne furono anche attive nelle operazioni che vennero organizzate nell’Europa occupata per mettere in salvo gli Ebrei. Tra di loro ci furono la paracadutista ebrea Hannah Szenes e l'attivista sionista Gisi Fleischmann. Hannah Szenes fu paracadutata in Ungheria nel 1944, mentre Gisi Fleischmann, leader del Gruppo d’Azione (Pracovna Skupina) facente capo al Consiglio Ebraico di Bratislava, tentò di fermare le deportazioni degli Ebrei dalla Slovacchia.

Milioni di donne furono perseguitate e uccise durante l’Olocausto. Tuttavia, alla fine non fu tanto la loro appartenenza al genere femminile a farne dei bersagli, quanto il loro credo politico o religioso, oppure il posto da loro occupato nella gerarchia razzista teorizzata dal Nazismo.

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