Viaggi, lavoro, studio: in Afghanistan diritti delle donne sempre più oscurati
L’ultima violazione è arrivata a Santo Stefano: in Afghanistan le donne non possono più viaggiare oltre un raggio di 72 chilometri dalla residenza senza essere accompagnate da un parente stretto di sesso maschile. Lo hanno stabilito le autorità talebane con un decreto emanato dal Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, che ha inoltre imposto a tutti i tassisti di non offrire passaggi a donne a meno che non indossino il velo islamico, senza tuttavia specificare di quale tipologia (e livello di copertura) si tratti.
“Alle donne che viaggiano per più di 45 miglia (72 chilometri) non dovrebbe essere offerto un passaggio se non sono accompagnate da un familiare stretto”, ha detto domenica all’AFP il portavoce del Ministero, Sadeq Akif Muhajir, specificando appunto che si deve trattare di un parente stretto e rigorosamente di sesso maschile. Si tratta dell’ultima imposizione promulgata dal nuovo regime talebano, salito al potere lo scorso agosto proclamandosi meno rigido rispetto a quello che ha governato il Paese sino ai primi anni Duemila, ma comportandosi di fatto in maniera molto simile. Soprattutto nei confronti delle donne, per cui aveva promesso, proprio ad agosto, un impegno a garantire i diritti “pur nel rispetto delle norme della legge islamica”.
In quattro mesi praticamente cancellato il diritto al lavoro e allo studio
Negli ultimi mesi invece le restrizioni, le limitazioni e le imposizioni sono andate in crescendo per bambine, ragazze e donne. In numerose province, inclusa la capitale Kabul, le ragazze non possono accedere alle scuole secondarie e gran parte delle donne (con l’unica eccezione, forse, di quelle che lavorano nella sanità) non possono più lavorare, i loro ruoli rimasti vacanti o riempiti da uomini. Lo stesso Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio a novembre ha vietato ai canali televisivi di trasmettere soap-opera filo-occidentali con attrici donne come protagoniste, e alle giornaliste è stato imposto di indossare il velo, ancora una volta senza specificare il grado di copertura, che può variare dai soli capelli sino a nascondere l’intero corpo. Sono state anche vietate le immagini e le fotografie di donne per le strade di Kabul, e con il passare delle settimane l’accesso a settori fondamentali come il lavoro e l’istruzione è diventato in generale sempre più complesso e privo di garanzie, catapultando le donne in un passato da cui faticosamente hanno provato a riemergere.
Nel precedentemente regime talebano le donne erano costrette a coprirsi integralmente con il burqa, era impedito loro di lasciare la propria casa senza essere accompagnate da un uomo e non era consentito loro né lavorare né studiare. A quattro mesi dal ritorno di Kabul in mano ai talebani moltissime sono rimaste senza lavoro e non possono tornare sui banchi di scuola, e l’economia del Paese ha iniziato a collassare per la mancanza di aiuti internazionali, tagliati proprio alla luce della violazione dei diritti delle donne, il cui rispetto è considerato requisito fondamentale per riceverli. Le associazioni e le realtà che si battono per i diritti delle donne hanno espresso timori sempre più forti soprattutto per le bambine, mentre il Paese fa i conti con l’arrivo dell’inverno e delle temperature più rigide, e la richiesta è quella di mantenere i riflettori puntati sull’Afghanistan e di non lasciarlo scivolare nell’oblio, allentando la sorveglianza sul regime talebano.
La task-force di mediatrici di pace, negoziatrici ed esperte di genere e sicurezza per supportare le donne afghane
Proprio per monitorare la situazione e supportare le donne afghane nella lotta per i diritti, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale in collaborazione con Wiis - Women In International Security hanno annunciato la creazione di una task force di mediatrici di pace, negoziatrici ed esperte di genere e sicurezza, che lavoreranno per affiancare un gruppo di donne afghane che hanno ricoperto ruoli apicali nel contesto politico, diplomatico e negoziale fino ad agosto scorso (quando gli Usa e le forze Nato si sono ritirate dall’Afghanistan) e che proseguono il loro attivismo nella diaspora.
L’obiettivo è dare un concreto supporto nella creazione di reti di solidarietà a difesa dei diritti delle connazionali fuori e dentro al proprio Paese. Il progetto è sostenuto dalla Farnesina nel quadro del Piano d’Azione Nazionale per l’attuazione dell’Agenda “Donne, Pace e Sicurezza (UNSCR 1325)”, proprio alla luce del ritorno dei Talebani al potere, nella consapevolezza che la comunità internazionale debba preservare i risultati acquisiti durante gli ultimi 20 anni di presenza internazionale in Afghanistan e monitorare i progressi dei diritti umani, in particolare quelli delle donne e delle ragazze, anche con il sostegno delle organizzazioni internazionali. Tra le donne afghane coinvolte ci sono anche quelle che, come Fatima Galiani, negoziatrice di pace per conto del Governo, avevano partecipato agli accordi di Doha che hanno sancito il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan.
“È nell’interesse comune garantire i diritti, la sicurezza e il benessere delle donne nel Paese - aveva detto a fine novembre Marina Sereni, viceministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, responsabile anche del Tavolo di coordinamento sull’Afghanistan - L‘Italia è convinta che questi debbano essere parte integrante di una soluzione sostenibile e pacifica. In questa visione, la comunità internazionale dovrebbe avere un ruolo proattivo per sollecitare l’Autorità in Afghanistan a rispettare i diritti del genere femminile per una partecipazione piena ed equa al processo decisionale”.
Fonte: Today.it
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