Un film animato per ricordarci le sofferenze delle donne afghane
Dice Giulietta Fara: «Pensiamo alle tante giovani donne afghane cresciute nell'ultimo ventennio godendo di una serie di diritti, almeno sulla carta, tra cui quello all'istruzione e quello contro la violenza, che ora si vedono braccate e costrette a rinunciare a tutte le loro libertà personali e ai loro diritti fondamentali. Oggi, le donne sono state completamente eliminate dalla scena pubblica. In Afghanistan si è verificato un apartheid di genere, le donne hanno perso tutti i loro diritti fondamentali come esseri umani, non hanno il diritto di studiare, lavorare, nemmeno di andare dal parrucchiere».
Giulietta Fara è la direttrice artistica del Future Film Festival, rassegna annuale (si svolge a Bologna) e vetrina di film d'animazione. La 21esima edizione è stata vinta da My Sunny Maad, pellicola cecoslovacca di forte impatto, e lei lancia un appello affinchè si trovino canali di distribuzione, la visione venga promozionata, il film non finisca dimenticato. La bellezza estetica ma soprattutto l'importante messaggio che esso lancia, quello della necessità di incontro tra le culture, obiettivo difficile e anche doloroso ma da perseguire, rende quanto mai opportuno l'appello, rivolto anche alle tv oltre ad altri festival e rassegne cinematografiche.
My Sunny Maad colpisce diritto al cuore. Con sensibilità e umorismo, vediamo come una struttura familiare si riordina. È un film forte, umano, che purtroppo acquista ogni giorno più importanza dopo il ritorno al potere dei talebani. Descrive dal punto di vista femminile la vita nella Kabul del 2011, quando Bin Laden sta per essere ucciso e uno spiraglio di luce sembra vedersi in fondo al tunnel. Helena, giovane studentessa ceca, si innamora sui banchi universitari dell'afghano Nazir, e lascia Praga ed il suo mondo per atterrare in quello dell'Afghanistan post talebano, a lei sconosciuto. Entra a far parte di una famiglia variegata, composta dal nonno liberale, l'intelligentissimo figlio adottivo Maad e la cognata Freshta, che farebbe di tutto per sfuggire alla morsa violenta del marito. La complicata stoia d'amore tra Helena e Nazir si dipana tra mille difficoltà, senza mai perdere di vista sensibilità e coraggio.
Una testimonianza è quella di Jamileh Amini, giovane afghana rifugiata in Svizzera: «Capisco bene l'angoscia che sta provando la popolazione, l'ho vissuta sulla mia pelle. Da piccola per uscire di casa e andare a giocare anche solo in cortile dovevo travestirmi da maschietto perché le bambine erano obbligate a restare in casa, proprio come ora. Il Paese è tornato nel buio più totale. Gli afghani e soprattutto le donne hanno all'improvviso perso 20 anni di conquiste e passi avanti nel mondo sociale e del lavoro. Molte donne sono rimaste vedove e per mantenere il resto della famiglia sono costrette a vendere le loro figlie. Sono anche ricominciati i matrimoni forzati, a 16 anni le ragazze devono sposarsi e fare bambini. E di recente alcune attiviste per i diritti delle donne sono scomparse nel nulla. Non abbiamo quasi più notizie affidabili ma sappiamo che vi stato un ritorno alle frustate, le lapidazioni e gli omicidi, soprattutto per le giornaliste donne. Il Paese è stato tradito e abbandonato. Inoltre dopo la prima ondata di solidarietà ora nessuno ne parla più. È come se fosse un Paese perduto». Ecco perché anche la testimonianza di un film d'animazione può rivelarsi preziosa, se offerta all'attenzione di chi non vuole voltarsi dall'altra parte.
Fonte: ItaliaOggi
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