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Mila, la 17enne minacciata sui social per avere insultato l'Islam: condannati gli autori dei post

Mila, la 17enne minacciata sui social per avere insultato l'Islam: condannati gli autori dei post

«Ti troveremo, ti legheremo e ti tortureremo, piccola puttana razzista»; «Ti farò fare la fine di Samuel Paty (il professore delle medie decapitato da un terrorista islamico, ndr)»; «Sarà per me un vero piacere accoltellarti e lasciarti marcire in un bosco»; «Fatela esplodere». Per questi e altri messaggi dello stesso tenore pubblicati sui social media undici persone, tutte incensurate e in maggioranza ventenni, sono state condannate dal tribunale di Parigi a pene tra i quattro e i sei mesi di carcere con la condizionale, e a pagare ciascuno 1500 euro di danni e 1000 di spese legali a Mila, la ragazza di 17 anni che dal 18 gennaio 2020 vive nascosta e protetta dalla polizia per avere espresso su Instagram frasi contro l’Islam. Gli imputati erano 13: uno è stato assolto per un vizio di procedura, e un altro perché – caso unico – ha presentato le sue scuse in aula e la sua richiesta di perdono è apparsa sincera.
La sentenza sul caso Mila era molto attesa perché riguarda due temi che si incrociano e che sono al centro del dibattito pubblico non solo in Francia: la difesa della laicità, della libertà di espressione e del diritto alla blasfemia, che in Francia è garantito dalla Costituzione, e che rende lecite le frasi di Mila, e al contempo la lotta contro l’odio online e contro le campagne di persecuzione lanciate sui social media, che non riguardano solo le minacce degli islamisti (a questo proposito, la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta per gli insulti razzisti rivolti online al campione di calcio Kylian Mbappé reo di avere sbagliato il rigore decisivo nella partita contro la Svizzera).
I condannati sembrano in effetti il frutto della sovrapposizione dei due piani: hanno minacciato Mila pensando di difendere la loro religione, senza rendersi pienamente conto che l’odio espresso online non è per questo meno pericoloso, illegale e inaccettabile. Privi di precedenti penali, tutti più o meno inseriti nella società, lontani dagli ambienti del terrorismo islamista, si sono lasciati andare a minacce spaventose con una leggerezza che si ritrova in altre campagne di odio. «I social media sono come la strada – ha detto il presidente del tribunale Michaël Humbert -. Quando per strada incontrate qualcuno che non vi piace, non lo insultate, non lo minacciate, non vi prendete gioco di lui. Quel che non va fatto per strada, non va fatto neanche sui social media».
Tenuto conto delle personalità dei 13 imputati, e del fatto che non fossero coinvolti in reti terroristiche, la corte ha preferito giudicarli per il capo di imputazione di «molestie online» e non di «minacce di morte». Ma questi 13 imputati, di cui 11 condannati, sono solo una piccola parte delle centinaia di persone che dal 18 gennaio 2020 hanno preso Mila come bersaglio costringendola a lasciare il liceo e a vivere per molti mesi in una caserma. Dall’inizio della vicenda, secondo un conteggio dell’inizio del 2021, Mila ha ricevuto oltre 50 mila messaggi di odio, una trentina al minuto.
In Francia molti la considerano un’eroina che nonostante la giovane età, coraggiosamente, non abbassa la testa di fronte alla prepotenza degli islamisti, altri pensano che se la sia cercata. Come l’ex ministra ed esponente socialista Ségolène Royal, secondo la quale è inopportuno che «un’adolescente irrispettosa venga portata a simbolo della libertà di espressione». Come con Charlie Hebdo, per alcuni il problema non sono gli islamisti che minacciano di morte e alla fine uccidono, ma le vittime che avevano avuto l’impertinenza di provocarli. Indisciplinata, forse in difficoltà nell’affermare e difendere la propria omosessualità, con la veemenza e la spontaneità dei suoi 16 anni nel gennaio 2020 Mila è sbottata su Instagram contro alcuni islamisti che volevano «riportarla sulla retta via» con avances ripetute e non gradite, e ha finito per prendersela con il Corano e Allah. Da allora la sua vita non è più la stessa, ma sembra serena nel non piegarsi di fronte all’ingiustizia. «Vorrei cominciare con il ringraziare i miei genitori – ha detto Mila in tribunale, dopo la sentenza -. Per la forza che hanno dimostrato finora, perché sono 18 mesi che vivono lo stesso mio calvario quando non avevano chiesto niente. Ringrazio il mio avvocato (Richard Malka, lo stesso di Charlie Hebdo, ndr) per la sua perseveranza, per quel che ha fatto finora e che farà in futuro, una persona ammirevole. Ringrazio le forze dell’ordine per garantire così bene la mia protezione, ringrazio le femministe che mi hanno sostenuto e mi dispiace per le altre che non lo hanno fatto perché allora non le considero femministe, ringrazio le associazioni anti-razziste che hanno avuto il coraggio di sostenermi, mentre le altre che non lo hanno fatto non lottano davvero contro il razzismo. Abbiamo vinto e vinceremo ancora. Non dobbiamo arrenderci».



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