Lara Lugli, la pallavolista incinta rimasta senza stipendio e citata per danni dal Volley Pordenone
Citata per danni perché rimasta incinta senza aver comunicato prima l’intenzione della sua maternità al club. Con queste motivazioni i vertici del Volley Pordenone, ora rinominato in Maniago Pordenone, hanno respinto l’ingiunzione presentata dalla sua ex giocatrice Lara Lugli, che voleva le fosse pagata l’ultima mensilità (circa mille euro) prima dell’interruzione del contratto, come — purtroppo — da prassi in Italia quando una pallavolista aspetta un bambino, dal momento che le atlete non sono professioniste.
Ma in questo caso si è andati oltre. Il club ha anche citato per danni la giocatrice 41enne, perché avrebbe violato il contratto firmato nella stagione 2018-19, quando aveva quindi 39 anni, «vendendo prima la sua esperienza con un ingaggio sproporzionato e nascondendo poi la sua volontà di essere madre. Una scelta che ha portato la squadra a doversi privare di lei a stagione in corso, perdendo di conseguenza molti punti sul campo e infine anche lo sponsor».
Motivi sollevati per iscritto dal presidente Franco Rossato, presidente del club che, uniti alla crisi economica del settore provocata dalla pandemia, giustificherebbero lo stipendio non pagato e dovrebbero evidenziare le responsabilità della schiacciatrice. Dopo aver vissuto in quell’anno anche un dramma personale — la perdita del bambino per un aborto spontaneo —, la pallavolista decide così di denunciare tutto sui social di fronte alla decisione del Pordenone, rivendicando non solo il diritto a quella mensilità, ma volendosi battere soprattutto per la sua categoria, piena di tante giocatrici che scendono ancora in campo e che convivono tutte con il dilemma tra carriera sportiva e maternità.
«Non pensavo di suscitare questa ondata di reazioni», ha commentato la schiacciatrice con un passato in A2 a Soliera, Mazzano, Firenze, Sassuolo e Casalmaggiore. «Ci ho pensato tanto prima di rendere nota la citazione per danni e l’ultimo capitolo della mia vicenda personale, ma ho presto capito che non era un tema sul quale si poteva passare sopra ed essere indifferenti. Non tanto per me, quanto per le tante ragazze che in queste condizioni spesso rinunciano a reagire».
La società ha anche contestato alla pallavolista di non essere tornata in squadra, neanche per la panchina, dopo l’interruzione di gravidanza. La giocatrice aveva tenuto al corrente il club del suo dramma, nonostante il contratto fosse già terminato. «I rapporti con la società erano buoni», ha ammesso Lugli, «ma, nonostante le continue richieste del mio avvocato e la conseguente ingiunzione, nessuno mi ha poi chiesto di tornare a giocare. L’atto di citazione per i danni mi ha ferito profondamente, in merito a una vicenda strettamente personale oltretutto».
Il presidente Rossato ha confermato questa versione, motivando la mancata chiamata con il rispetto della condizione psicologica dell’atleta subito dopo aver subito un aborto. In quell’anno sportivo, senza il contributo di Lugli, la squadra ha perso posizioni e investimenti, ma la giocatrice trova inaccettabile che una gravidanza sia equiparata ad altri comportamenti che possono essere in contrasto con gli impegni precedentemente assunti con il club, tanto da giustificare la fine del rapporto di lavoro e anche una citazione a posteriori per la defezione a stagione in corso.
Un problema non nuovo nel mondo dello sport dilettantistico femminile, ma il fatto che questa vicenda sia emersa proprio l’8 marzo, nella giornata Internazionale della Donna, può evidentemente invitare a fare qualche riflessione in più. Assist, l’Associazione Nazionale Atlete, per esempio, scriverà al presidente del Consiglio, Mario Draghi e al presidente del Coni, Giovanni Malagò, per sensibilizzarli sul tema.
Fonte: Corriere della Sera
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