In Sardegna con Grazia Deledda, la «madre» della letteratura italiana del '900
Da quando, ventenne, in un'epoca e in una terra che non premiavano l'ambizione femminile, scriveva «sono piccolissima» e «ardita come un gigante», allo scandalo della sua prima opera, fino al premio Nobel. Grazia Deledda (Nuoro, 28 settembre 1871 - Roma, 15 agosto 1936) ha saputo raccontare da una parte i paesaggi della sua terra, dove ha ambientato i romanzi più noti ma anche quelli minori, dall'altra le durezze della società patriarcale sarda della sua epoca. A portarci alla scoperta dei suoi luoghi e della sua scrittura è «In Sardegna con Grazia Deledda» (Giulio Perrone editore) di Rossana Dedola, già ricercatrice e docente della Scuola Normale di Pisa, analista didatta e supervisore dell’Istituto C. G. Jung e dell’International School of Analythical Pychology di Zurigo. «Questo libro — racconta al Corriere della Sera — nasce all’interno di una collana che si propone di far viaggiare il lettore attraverso la letteratura e gli scrittori. Avevo letto un libro di Saverio Simonelli che mi era piaciuto molto in cui si percorreva la Germania dei fratelli Grimm, e anch’io con La valigia delle Indie e altri bagagli, mi ero già dedicata agli scrittori in viaggio in India». Un Paese geograficamente lontano nel quale «mi sono sentita stranamente a casa. Vedere le donne che cucinavano con un fuoco fatto direttamente per terra e assaporare piatti straordinari, oppure le ragazze che a Udaipur battevano i panni sulle sponde del lago, mi faceva venire in mente immagini della mia infanzia», ricorda la scrittrice classe 1951, originaria di Sassari.
In contatto con la Sardegna più arcaica
A portarla a scoprire la forza di Deledda sono state «le lettere scritte a Angelo De Gubernatis quando era una ragazzina. Davanti da un uomo prestigioso del suo tempo, non si impressionò, anzi fu lei, piccina e bruttina, a impressionarlo. Antesignano dell’emancipazione femminile, era un grande viaggiatore, un conoscitore di diverse lingue, il primo occidentale che fu iniziato come bramano», spiega, mentre Deledda «parlava il sardo come lingua madre e aveva visto solo Nuoro e dintorni, tra l’altro andandovi a cavallo». De Gubernatis ne percepì subito il talento e «la incoraggiò nei suoi sogni di gloria, che si sono puntualmente realizzati, in una fase della sua vita in cui era osteggiata dai suoi concittadini nuoresi, dalla famiglia e dalle amiche che non accettavano che una ragazza potesse scrivere storie d’amore mettendo a repentaglio la propria moralità». Un personaggio, quello di Deledda, che permette di entrare in contatto con la Sardegna più arcaica, senza idealizzarla, mostrandone miseria, sofferenze e ingiustizie. «Grazie al premio Nobel nel 1926 — evidenzia Dedola — ha avuto il grande merito di portare alla ribalta del mondo un lembo dell’antico Mediterraneo con le sue usanze e i rituali, svelando la forza di molte protagoniste femminili e la debolezza dei personaggi maschili in una società patriarcale che conservava ancora tratti matriarcali». Deledda era nata in quel mondo, «lo conosceva dall’interno, sapeva fare il pane e si era nutrita sin dalla prima infanzia di fiabe, leggende e racconti, ma era anche consapevole che per poter diventare scrittrice e vivere del proprio lavoro letterario, doveva andare via da lì».
«Madre della letteratura italiana del Novecento»
A noi donne, ancora oggi, lascia «un esempio straordinario di tenacia e di volontà: voler diventare a tutti i costi scrittrice pur avendo frequentato solo la quarta elementare. Non si è mai arresa, nemmeno quando ebbe contro Luigi Pirandello e Ugo Ojetti, allora direttore del Corriere della Sera, incapaci di accettare che con il marito Palmiro Madesani avesse costituito in anticipo sui tempi una sorta di agenzia letteraria». Per sua fortuna, soprattutto dall’estero, arrivò l’incoraggiamento di altre donne con cui era in corrispondenza: «Addirittura una baronessa tedesca fuggita in Svizzera per evitare di essere rinchiusa in una casa di cura perché aveva scelto di diventare storica e fu, infatti, una delle prime a fare un dottorato in storia». Seguendo l’esempio della scrittrice — chiarisce l'autrice — «ho trovato in Sardegna tante altre storie di donne di cui parlo nel libro, pioniere nel loro campo, capaci sconfiggere pregiudizi secolari pur di seguire la propria vocazione». Una donna che, anticipando i tempi, scrive quasi in maniera cinematografica, quando descrive luoghi e situazioni. Certo, difficile attribuirle un genere o inserirla in una corrente letteraria, senza incatenarla: «La considero come un’iniziatrice. Nella biografia che le ho dedicato anni fa, l’ho avvicinata al poeta e scrittore indiano Rabindranath Tagore, anche lui premio Nobel, per la capacità di entrare in consonanza con la natura e di trasformarne in racconto la poesia», spiega. «A proposito di Deledda Dacia Maraini ha fatto un’affermazione importante che condivido: “Se Italo Svevo è stato il padre della letteratura italiana del Novecento, Grazia Deledda è stata la madre».
Melograna, corallo e granito: tre parole per conoscerla
In molti luoghi della Sardegna, ancora oggi, si respira lo spirito di Deledda, una delle donne più lette e tradotte nel resto del mondo. Una donna rivoluzionaria, nella sua vita prima di ogni cosa. «Uno dei luoghi — consiglia Dedola — che consiglierei di visitare è sicuramente il monte Ortobene, in particolare il punto da cui si vede il mare, un paesaggio straordinario in cui si riconoscono i paesi di cui parla nei romanzi; poi andrei a Luras per fare compagnia all’albero più antico della Sardegna e mi fermerei per ore a contemplare una Tomba dei giganti. Invece — confessa — le tre parole che non possono mancare per inquadrarla e capirla sono melograna, corallo, granito». Della Sardegna di Deledda, le Barbagie, «oggi è rimasta la solidarietà, anche se il modo in cui era praticata nel passato, come hanno testimoniato alcune donne con cui ho parlato durante i miei viaggi, pare oggi irraggiungibile. Il tratto matriarcale della società tradizionale sarda ha permesso in anni recenti a tantissime donne di studiare e frequentare l’università, lasciando definitivamente alle spalle l’altissimo analfabetismo del passato». Ma non tutto è rimasto uguale: «Oggi con l’immigrazione è cambiata la composizione sociale, sono arrivati nuovi abitanti, e si è persa la sacralità di certi gesti, penso che nel passato sarebbe stato impensabile buttare per terra fiumi di latte», conclude l'autrice. Dedicando un pensiero finale alla sua Sardegna: «È parte della mia identità, l’ho scoperta a Zurigo durante la mia formazione come psicanalista. Ma mi ricordo ancora lo stupore, durante uno dei miei viaggi in India, di due viaggiatrici di Israele che mi dissero che ero la prima donna della Sardegna che incontravano. Che cosa mi manca? Mi mancano tante cose, ma soprattutto il mare e il profumo intenso dell’elicriso».
Fonte: Corriere della Sera
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