Cosa sappiamo di Ikram Nazih, la studentessa italo-marocchina condannata per un post sul Corano
In Marocco, come in Egitto ed in modo diverso anche in Tunisia, dieci anni dopo le rivolte, immense, sofferte ma partecipatissime, che avevano illuso i popoli del fatto un reale cambiamento, in senso democratico, sarebbe arrivato, le cose vanno sempre peggio. A dieci anni dalle rivolte arabe del 2011, il bilancio è drammatico: la Siria è piombata nella peggior guerra civile d’inizio millennio, l’Egitto è passato dalla trentennale dittatura di Hosni Mubarak a quella ancora più feroce di Abdel Fattah al Sisi (che, per fare un esempio su mille, arresta giovani donne per aver pubblicato "video indecenti" su TikTok), la Tunisia si destreggia tra le montagne russe della sua politica interna e una crisi economica che moltiplica il numero dei disoccupati, mentre in Marocco il regno di Muhammad VI, sul trono dal 1999, ha abbracciato ancora più strenuamente una politica di tolleranza zero verso chiunque critichi o polemizzi intorno a tre temi intoccabili: Monarchia, religione, unità nazionale. In uno Stato dove l’omosessualità è ancora reato, secondo l’articolo 489 del codice penale e si rischiano fino ai tre anni di reclusione, succede che anche rapper e YouTuber avversi al regime finiscano in galera, come capitò nel 2019 Mohamed Sekkaki, famosissimo in patria e condannato a quattro anni di carcere e ad una multa di 4.000 dollari per aver criticato in un video il re. Il caso del giorno, uno dei tanti di violazione della libertà di espressione e parola del regime ultra ventennale di colui che appena insediato si presentò come "Re dei poveri" (nessuno ha accumulato più ricchezze di lui), riguarda Ikram Nazih, studentessa di 23 anni con la doppia cittadinanza italiana e marocchina che è stata condannata in Marocco a 3 anni e mezzo di carcere per oltraggio all’Islam.
Nata in Italia da famiglia marocchina, a Vimercate, comune della Brianza, da qualche tempo viveva a Marsiglia, in Francia, dove studiava Giurisprudenza. Nel 2019, e questo è il suo reato, ha condiviso sul suo profilo Facebook un post, nel quale ironizza su una Sura del Corano, definendola "versetto del whiskey". Una vignetta al tempo piuttosto diffusa sui social, che la 23enne ha condiviso ma quasi subito cancellato, ma non abbastanza velocemente da evitare di essere denunciato da parte di un’associazione religiosa marocchina alle autorità di Rabat. Due anni dopo, lo scorso giugno, Nazih, prende un aereo per il Marocco, per andare a trovare la famiglia. Atterrata all'aeroporto di Rabat, viene immediatamente fermata: è stata denunciata per aver offeso pubblicamente l'Islam, che in Marocco è religione di stato. Il codice penale del Marocco prevede una condanna fino a 2 anni di prigione per chiunque offenda la religione islamica, e la pena può arrivare fino a 5 anni se la violazione viene commessa in pubblico o tramite i social network. Il 28 giugno è stata condannata a una pena di tre anni e mezzo di carcere e al pagamento di 50.000 dirham, ovvero circa 4.800 euro.
Il caso è stato ripreso dal deputato della Lega Massimiliano Capitanio, che ha detto di voler depositare un’interrogazione parlamentare e ha chiesto al governo italiano di intervenire ufficialmente per la scarcerazione della studentessa. Non ci sono molte altre notizie, sul caso: a quanto ha scritto il deputato Capitanio, la studentessa ha ricevuto in carcere la visita del console onorario e del console generale. Al suo avvocato, la studentessa avrebbe poi negato di avere scritto quel messaggio su Facebook dicendo di averlo ricevuto da alcuni suoi contatti e solamente condiviso. In attesa della sentenza di appello che potrebbe ribaltare quella di primo grado, alcuni esponenti della comunità islamica hanno chiesto che, come da tradizione, il re del Marocco Mohammed VI conceda la grazia a Nazih in occasione della festa per Eid al-Adha, la festa del sacrificio che si svolgerà il 20 luglio. "Stiamo seguendo il caso, che è particolarmente delicato", ha detto in una nota a Repubblica Armando Barucco, ambasciatore italiano a Rabat. Dieci anni dopo le rivolte che hanno infiammato un paese che anelava libertà, giustizia, democrazia, i passi fatti sono andati, purtroppo, solo all'indietro. E per i marocchini che hanno manifestato per mesi, che hanno subìto la durissima repressione della polizia di regime, che, alla fine, hanno creduto alle promesse di un re che ha solo finto una riforma costituzionale, notizie come questa sono solo conferme di qualcosa di già noto, e cioè la sconfitta totale degli ideali di quella che noi occidentali abbiamo pigramente ribattezzato "primavera araba", e che dovrà, se si vorrà ritentare di nuovo la rivoluzione, ripartire, con fatica, da zero.
Fonte: Yahoo! Finanza
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