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Carla Lonzi, visse d’arte e di femminismo

Carla Lonzi, visse d’arte e di femminismo

Illustrazione di Sara Masiani

Carla Lonzi (1931-1982), fiorentina per nascita, ebbe il fuoco nel suo oroscopo: fin dalla giovinezza si dedicò con grande passione allo studio della storia dell’arte. Si laurea con Roberto Longhi e già chiarisce che vuole a ogni costo superare i limiti dell’ambito. La sua tesi era infatti la tesi sul tema dell’arte in teatro: nel 1956 era una visione profetica, perché la ricerca estetica cominciava a tornare allo scintillio dell’avanguardia. Il testo venne pubblicato nel 1995 da Olschki, con il titolo Rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell’800, a cura di Moreno Bucci. Nei corsi del maestro aveva incontrato e sviluppato una affinità con Marisa Volpi, che poi fu romanziera e esploratrice dell’arte simbolista. In una lettera le scriveva: «sono d’accordo con te che vale la pena di tentare qualcosa sul contemporaneo. Mi chiedi dove mi sento più sicura. Su Ben Shahn potrei provare, però sempre su un piano allusivo, perché son priva di informazioni serie». Il saggio uscì su Paragone, nel numero 69 del 1955, suscitando le lodi del loro maestro Roberto Longhi che lo trovò «buono, ben documentato, garbato». Poco dopo l’artista americano volle conoscere le autrici, quando arrivò a Firenze insieme alla moglie. Di questi anni fiorentini ha ben scritto Laura Iamurri nel suo Un margine che sfugge (Quodlibet), ricordando anche che da qui inizia un percorso vertiginoso nelle cronache d’arte contemporanea, lasciando presto la scena del realismo per il tumultuoso mondo dell’informale, fino alla performance e alla body art.
Impegnata in politica, Carla Lonzi fin dall’inizio della sua attività dichiarava la necessità di prendere posizione, affermare concetti scomodi, farla finita con i luoghi comuni, come scriveva alla Volpi nel 1956: «com’è avvilente in fondo fare altre cose che non la rivoluzione. Questo è il primo pensiero». I suoi molti scritti sull’arte, studiati in relazione alla sua esistenza da Laura Iamurri che li ha raccolti (edizioni et.al) e da Giovanna Zapperi che nel 2017 ha firmato una precisa e convincente biografia critica Un’arte della vita (Deriveapprodi, 2017), mettono a fuoco l’obiettivo, mentre si definisce la fisionomia dell’autrice, che si confronta in modo diretto con gli artisti, in un’epoca in cui come dichiarava Maurizio Fagiolo Dell’Arco (da poco riproposto da Officina Libraria) gli studi erano molto più importanti delle accademie.
Come Andy Warhol Carla Lonzi registra e monta colloqui con molti artisti: Carla Accardi, compagna di strada nel femminismo, Lucio Fontana, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pietro Consagra, a lungo suo compagno, che sarà poi dedicatario nel 1980 del volume di dialogo Vai pure, uscito due anni prima della sua scomparsa. Il libro uscito da De Donato nel 1969, rimane una delle fonti più rilevanti per la comprensione degli sviluppi dell’arte in Italia negli anni ’60: recentemente è stato riproposto da Abscondita nel 2017, con uno scritto di Laura Iamurri. Poi l’arte lasciò spazio al femminismo, vissuto in prima persona con testi teorici e azioni che hanno fatto epoca. È il momento splendente del Movimento di Rivolta Femminile, agito insieme a Carla Accardi e Elvira Banotti per qualche anno, con una presenza rilevante a Milano. Da questa stagione nascono due testi basilari e discussi editi nel 1970: Sputiamo su Hegel! e La donna clitoridea e la donna vaginale. La chiarezza praticata in oltre quindici anni di racconto dell’arte torna anche qui: «il rischio di questi scritti è che vengano presi come punti fermi teorici mentre riflettono solo un modo iniziale per me di uscire allo scoperto, quello in cui prevaleva lo sdegno per essermi accorta che la cultura maschile in ogni suo aspetto aveva teorizzato l’inferiorità della donna».
Lo scritto di presentazione del 1973 passa dalla critica alla profezia: «lottare per il domani, un domani così lontano che neppure noi ci saremo. L’uomo ha sempre rimandato ogni soluzione a un futuro ideale dell’umanità, ma non esiste. Possiamo però rivelare l’umanità presente: cioè noi stesse». Gli anni seguenti sono dedicati a testi sempre più intransigenti e spesso visionari: nel Secondo Manifesto di Rivolta Femminile l’affermazione è Io dico io (1978). Nello stesso anno arriva Taci, anzi parla. Diario di una femminista e molti testi arrivano postumi, come Scacco ragionato (1985) e Armande sono io! (1992), un notevole affondo su Le preziose ridicole di Molière. Nel 2016, per iniziativa di associazioni fiorentine, la Biblioteca delle Oblate ha dedicato a Carla Lonzi una sala di studio: oggi nel mondo la sua opera è crescente oggetto di studio.

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